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  • Immagine del redattoreTelefono Amico Cagliari

Una sera, al telefono...

È una brutta sera di pioggia.

Arrivo in Associazione e saluto un altro volontario; sistemo la bottiglietta d’acqua sulla piccola scrivania e aspetto che arrivi la prima telefonata.

Non mi pesa stare in linea di notte: a mio giudizio, arrivano le telefonate più interessanti.

Sono tante le persone che si rivolgono a noi per sentirsi meno sole e avere, in alcuni casi, semplicemente un saluto e l'augurio di una buona notte. Penso, ad esempio, alla vecchina di ottantacinque anni che chiama per raccontarci la storia della giovinezza trascorsa in campagna e le violenze subite ai tempi della guerra…

Il flusso dei miei pensieri è interrotto dal trillo del telefono.

"Buona sera, Telefono Amico".

Nessuna risposta. Solo un respiro profondo e irregolare.

"Sono qui, se vuoi ti ascolto".

Silenzio. Poi qualche colpo di tosse e una voce flebile di donna che dice “Pronto?”.

"Ciao, se vuoi sono qui per ascoltarti".

"Ecco… ho paura di aver fatto una sciocchezza… non sapevo con chi parlarne”.

“Sono qui per te. Ne possiamo parlare: vediamo assieme se, come hai detto, si tratta di una sciocchezza… sempre che tu voglia parlarne con me”.

“Si: sento che non mi giudicherai… spero".

Aspetto che inizi a raccontarsi.

"Ecco... non so da dove iniziare: sono confusa e ho paura. Molta paura. Ho una bambina di dieci anni e temo di aver fatto una grossa sciocchezza, perché non ho pensato alle conseguenze e a come potrebbe essere la sua vita futura senza la mamma”.

“Capisco: sei una mamma che ama la propria figlia ed è giusto che ciascuno, come dicevi, pensi anche alle conseguenze delle proprie azioni. Ma, forse, possiamo vedere assieme se c’è una soluzione. Se vuoi”.

“Sì, ho voglia di parlarne anche se forse ormai è troppo tardi. Ma tu non lasciarmi sola: ho

paura. Lei, il mio angioletto, dorme tranquilla. Le ho dato tanti baci prima di lasciarla nel suo

lettino. Non sa che sciocchezza ho fatto ma quando si sveglierà e mi troverà... come

reagirà? Sicuramente non capirà. E sarà disperata: tutta la sua vita senza la mamma! Ho

paura, mi capisci?!”.

La sua storia mi arriva come un pugno nello stomaco ma cerco di mantenere la lucidità: “Sì, sono qui con te e ti ascolto. Se vuoi, raccontami il tuo stato d’animo in questo momento.

Posso starti vicino e cercare insieme a te una soluzione”.

“Va bene, però non farmi parlare da sola: la tua voce mi rassicura, è come se fossi qui con

me e mi stessi abbracciando, mi fai sentire bene... almeno una volta nella mia vita!”.

“Dimmi pure ciò che vuoi”.

“Vorrei raccontarti la mia vita, dirti il mio nome, spiegarti perché ho preso questa assurda

decisione, farti sapere dove vivo… ma forse non ne ho davvero voglia: sono stanca, sento

gli occhi che si chiudono. Ho preso troppe pastiglie... ecco: l’ho detto”.

“Capisco. Ma se hai deciso di parlarmi di te e raccontarmi la tua vita non puoi chiudere gli

occhi, non ti pare?”.

Dall'altro capo del telefono arriva un fiume di parole e il tempo che scorre non ha più importanza: mi sembra che la telefonata sia iniziata da pochi minuti ma forse sono passate ore.

La vita della donna è stata piena di difficoltà, di vane illusioni e, spesso, oggetto dei giudizi di chi non ha saputo incontrare la sua anima... fino a quando ha preso l'ultima tremenda decisione, quella di chiudere gli occhi per sempre lasciando che, per una volta, il dolore sia sentito solo da altri.

L’amore per la figlia, però, emerge anche dalle riflessioni più tristi e penso che potrei farglielo notare: “Vuoi molto bene a tua figlia. Lei è tutto per te. Cosa pensi di fare per lei, visto che saresti disposta a tutto?”

“Non so cosa farei, ormai non posso più tornare indietro. Ho fatto una grossa sciocchezza e me ne pento: non penso a me ma sono disperata se penso a lei!”.

La sua voce è sempre più impastata.

“Hai idea di chi potrebbe aiutarti in questo momento? Io, comunque, resto con te: non ti lascio sola”.

“È tardi. Non posso chiamare nessuno di notte. Mi piace che tu stia con me, anche se ho molto sonno. Voglio chiudere gli occhi.”.

“Se ti piace stare con me, parliamo ancora. Ci saranno tante cose che non mi hai detto. Beviamo un po’ d’acqua, ti va?”

I discorsi scivolano; la donna continua a raccontare anche se la sua voce, ormai, è molto bassa.

Dopo un po' decide di chiamare il medico e mi chiede di aspettare in linea.

Spero che la nostra telefonata non finisca ora, ma so che questo dipende solamente da lei.

Finalmente sento di nuovo la sua voce: “Pronto, ci sei ancora?”

“Sì” rispondo. “Non potrei lasciarti sola”.

“Grazie. Ho chiamato il medico. Mi ha detto che forse la sciocchezza è rimediabile ed ha chiamato il 118. Però tu non lasciarmi lo stesso… capito?”

“Tranquilla: sto qui fin quando vorrai”.

Riprende a parlare e ogni tanto si accerta che io sia presente.

Sento una sirena in lontananza. Lei piange ed io spero che sia per la gioia di avere deciso di non chiudere gli occhi.

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